Questa foto potrebbe essere stata scattata in una qualsiasi spiaggia del mondo.
Ritrae dei giovani impegnati in una partitella di calcetto sulla spiaggia, un momento gioioso fatto di piccole cose: un pallone e delle porte improvvisate.
Gli ultimi istanti di luce prima del buio.
Ma qui siamo a Gaza, quelle lucine sulla destra non sono le lampare dei pescatori ma le luci delle motovedette israeliane.
Fra pochi istanti questa bellissima luce lascerà il posto a uno spettacolo che inevitabilmente farà inorridire lo spettatore.
Uno spettacolo a cui non si è mai preparati. Cioè, magari lo sai che centinaia di navi israeliane sono schierate davanti a te, navi da guerra, portaerei e fregate ma non puoi, non si riesce ad immaginare cosa sia davvero un blocco navale costante finché il sole non va giù e la luce calda del sole lascia il posto a migliaia di lucine bianche che galleggiano proprio sulla linea dell’orizzonte.
Costosissime navi da guerra sono lì, pronte a sparare a qualunque cosa si muova in mare: non importa che siano pescatori o magari qualche disperato che tenta di forzare il blocco per riuscire a scappare dall’assedio.
Ma non sono lì solo per sparare, sono lì perché l’idea è che i palestinesi siano come cave da laboratorio, occorre capire fino a che punto possano resistere psicologicamente a tutto questo sapendo di essere circondati.
È una guerra costante, sporca e sproporzionata la cui prima vittima sono i nervi costantemente tesi.
Così passi dal tramonto all’orrore in pochi minuti, mentre fumi in spiaggia tabacco aromatizzato alla mela.
Poi gli spari, chissà perché, chissà a chi. Provi a farti suggerire dagli occhi dei tuoi amici palestinesi quale sia il sentimento giusto da provare in quel momento ma ci trovi solo l’abitudine e la speranza che tutto questo, in qualche modo, finisca.
Non oggi, sai che non è oggi quel giorno e allora torni a guardare le luci all’orizzonte chiedendoti come la gente possa vivere tranquilla sotto le bombe.