Di incubi, bombe e coraggio necessario

Di incubi, bombe e coraggio necessario

Questa notte Gaza è stata nuovamente bombardata.
Noi siamo tornati da pochi giorni in Italia ma volevamo spiegarvi come accogliamo certe notizie “da questa parte del mondo”, partendo da uno spunto di uno dei partecipanti alla carovana:

“È stata una pessima nottata qui in Italia. Nel mio comodo letto.

Mi sono svegliato che tremavo: ho sognato la guerra. 
E per la prima volta i suoni dei bombardamenti nei mie sogni sono in alta definizione, non sono più gli effetti sonori di qualche film.

Non saprei esattamente cosa c’è di diverso, nei film i suoni sembrano così accurati. Averli vissuti però ti cambia completamente la percezione di cos’è un bombardamento.

Ricordo da piccolo le immagini della Guerra del Golfo, i missili che cadevano e che illuminavano tutto. Non eravamo ancora nell’epoca del FullHD eppure la potenza di quelle immagini hanno lasciato un segno indelebile dell’orrore della guerra anche qui in occidente. Era pura propaganda.

Le bombe e i colpi di fucile pensavo fossero tutti nella mia testa stanotte. Invece erano anche reali.

Siamo tornati da pochissimi giorni dalla Striscia di Gaza ed eravamo stati avvertiti: aver assistito, seppur da una posizione sicura, ai bombardamenti israeliani poteva provocarci dei traumi.

Siamo rimasti, in fondo, solo pochi giorni in quella prigione ma evidentemente sono stati sufficienti. E subito il pensiero corre a chi in quel pezzetto di terra ci vive tutta la vita senza poter mai uscire.

Chissà a quanti bombardamenti come questo hanno assistito i ragazzi che abbiamo incontrato. Chissà cosa sognano.

L’ultimo giorno delle attività, quando i bambini hanno mostrato in piccoli show cosa hanno imparato, ho pianto. Non ero l’unico, con tanti ci siamo ritrovati a piangere in stanzette secondarie o nel giardino della struttura che ci ospitava.

Piangevamo come maestri che si emozionano per i risultati raggiunti dai propri alunni. Piangevamo come quelli che sanno che dovranno presto tornare a casa. Nei giorni successivi abbiamo dovuto ammettere, collettivamente, che Gaza già ci mancava.

Ma quando piangi come quelli che dovranno tornare a casa ti rendi conto che c’è dell’altro. C’è la possibilità che non tornerai mai più e che quella è l’ultima volta che vedrai i tuoi nuovi amici.

Ma c’è di peggio: potresti non vederli più perché forse la casa di Ibrahim si trova vicino a un presunto magazzino di armi di Hamas. Perché il letto di Mohammed potrebbe essere accanto a quello dello zio, presunto affiliato di Hamas.

Per Israele queste sono “semplici” operazioni di polizia, per di più in territorio straniero.

Ammesso che questa folle routine chiamata guerra finisca in qualche giornale la questione sarà liquidata come “un’operazione contro postazioni di Hamas”.

Così mi sono svegliato per la seconda volta stamattina, con un’operazione contro Hamas. Probabilmente non saprò mai se la casa di qualcun* dei ragazz* sia stata presa di mira, per sbaglio o perché qualche parente è considerato un combattente di Hamas.

Non saprò mai se qualcuno di loro è stato colpito da queste bombe. 
Pare, al momento, che non ci siano feriti. Questo però non mi solleva per niente. Nuova distruzione, nuovo inquinamento, nuove paure sono caduti su Gaza.

Per questa volta forse i bambini stanno bene fisicamente.

Chi mi conosce sa che la mia corazza è abbastanza dura, raramente esprimo i miei sentimenti e le mie preoccupazioni. Sono un uomo adulto che vive in Italia eppure eccomi qua a confessare incubi e paure.

Se questo vi stupisce fermatevi un attimo: stupitevi per come questi bambini riescano ad affrontare una nuova mattina ogni giorno”.

(Foto di Sultan Abdallah)

Uno squarcio nel muro

Uno squarcio nel muro

È arrivato il momento di tirare le somme del nostro progetto e lo facciamo appena rientrati, quando le nostre tantissime emozioni sono ancora calde.
Lo premettiamo subito, a scanso di equivoci: Gaza è un posto complesso in cui convivono mille contraddizioni, tantissimi problemi, drammi e difficoltà. Forse è questo il primo sentimento che ciascuno di noi ha provato quando siamo entrati all’interno della Striscia.

Certo, potrebbe sembrare un’ovvietà, siamo ormai abituati alla narrazione di Gaza proveniente dai media. Una narrazione che si preoccupa di quel fazzoletto di terra solo quando accade qualche fatto di sangue.

Ma Gaza è Viva, brulica di un’intensa vitalità che è difficile raccontare attraverso poche parole da condividere online.
La quotidianità di Gaza ci ha stupito, ci ha ammaliati, spaventati, talvolta ci ha reso la vita complicata ma sopratutto ci ha immediatamente fatto rendere conto che tutto quello che sapevamo sulla “più grande prigione a cielo aperto” era solo un acquerello della realtà.
Sapevamo dell’assedio israeliano, che costringe i gazawi a vivere come in una gabbia: senza poter uscire né via terra, né via cielo né tantomeno via mare. E anche noi abbiamo sentito, nonostante la breve durata del progetto, quel senso di prigionia con cui gli abitanti della Striscia convivono quotidianamente.

Ma la scorza dei palestinesi è dura, ne hanno dato ampia dimostrazione nel corso degli anni.
Non saranno certamente i muri e le navi da guerra a rubare la vita a Gaza. Certo, la continua pressione psicologica a cui sono sottoposti i gazawi evidentemente sta portando la situazione al collasso, nessuno può sopportare a lungo questa condizione.

E a farne le spese sempre sono i bambini e le bambine, costretti a trovare il modo di sopportare la guerra, le bombe, la povertà, le condizioni socio-economiche al limite.

Questo è esattamente quello che abbiamo trovato al nostro arrivo a Gaza.
La situazione ci ha fatto immediatamente rendere conto che la nostra missione, provare ad alleviare le sofferenze dei giovani attraverso la cultura Hip Hop, sarebbe stata decisamente più ardua di quanto avevamo immaginato scrivendo il progetto su freddi fogli di carta.
Ma le speranze non avrebbero tardato a palesarsi: sotto forma di una crew, i Camps Breakerz di Nusseirat, ad esempio. Una realtà che lavora in un territorio difficilissimo, un campo profughi della striscia, a contatto con la periferia.

Un esempio di determinazione, forza e coraggio che ha saputo ritagliarsi uno spazio in mezzo ai pregiudizi culturali di questa terra.
Ballare la breakdance lì è un atto di estrema forza, un’azione di rottura della quotidianità e della paura.
Grazie alla CB Crew siamo riusciti a coinvolgere decine di ragazze e ragazzi in questo progetto: supportare la scena Hip Hop e, al contempo, valutare gli effetti delle discipline dello stesso sulla salute mentale di chi ha partecipato ai nostri workshop.
Abbiamo dovuto superare le prevedibili resistenze culturali di chi ha ritenuto che il nostro progetto “potesse essere in contrasto con la cultura locale”, dimostrando che l’Hip Hop in fondo è un linguaggio il cui unico limite è la fantasia di chi lo pratica. Mai come in questo caso il termine “evasione” può apparire azzeccato.

Abbiamo sempre considerato questa esperienza come un progetto pilota, per provare ad affinare un metodo di lavoro unico. Sappiamo quanto la musicoterapia sia uno strumento potente ed efficace. Ma cosa accade quando la questa incontra le discipline dell’Hip Hop?

Cosa accade quando i ragazzi utilizzano la danza, il canto e il disegno, sentendosi parte di una comunità globale? Abbiamo creduto in questo sogno e l’abbiamo, giorno dopo giorno, realizzato.

Per questo durante tutte le giornate di workshop abbiamo dato grande rilevanza all’ambito psicologico del progetto. Grazie alla letture collettive delle favole siamo riusciti a entrare in empatia coi ragazzi, cercando di capire quali fossero i problemi e le paure di un giovane costretto a convivere con una guerra continua.

Quello che volevamo dal progetto ci è stato chiaro fin dall’inizio, così come ci era chiaro quello che Gaza is Alive non voleva essere: un evento singolo, un atto di pur necessaria compassione.

Volevamo, e lo vogliamo ancora ora che il nostro cuore pulsa per le fortissime emozioni vissute, che fosse invece l’inizio di un lungo percorso che continui anche adesso che siamo tornati a casa.

L’arte si è dimostrata in ogni workshop fondamentale per una crescita a vista d’occhio dei ragazzi.

E non parliamo soltanto dei tanti “potenziali talenti” che finalmente hanno potuto esprimersi. Parliamo di quella crescita nella vita di ogni giorno che permette a ciascuno di portare a casa un miglioramento della propria condizione grazie al supporto delle proprie passioni.

Per noi vivere la quotidianità di Gaza ha significato pure dover assistere a una serie di bombardamenti in una zona vicina al nostro alloggio. Anche noi abbiamo vissuto la paura, la tensione, la rabbia di essere spettatori, comunque privilegiati, di uno spettacolo che inevitabilmente ti segna: i bombardamenti.

E non siamo riusciti a metterci nei panni di chi le bombe le subisce ogni giorno. Non siamo riusciti a immaginare come ci si possa sentire in una striscia di terra circondata da un muro, con centinaia di navi da guerra sempre lì, proprio sulla linea dell’orizzonte, messe apposta per ricordare ai gazawi che la speranza di uscire da quella terra è solo un’illusione.

Non siamo riusciti ad abituarci al ronzio costante dei droni sopra la nostra testa, al rombo degli F-16 che preannuncia un messaggio di morte e distruzione.

Non saremmo mai riusciti a farci forza se non l’avessimo presa in prestito dai nostri ragazzi, sempre sorridenti, carichi e interessati. Era questa la nostra cartina al tornasole: il metodo ha funzionato.

E non abbiamo problemi ad ammetterlo, ha funzionato oltre le nostre aspettative.
Siamo partiti per insegnare qualcosa, ma in realtà anche noi abbiamo imparato delle lezioni che porteremo con noi per sempre.

Ci hanno spiegato che non è il suono dell’esplosione a fare paura, ma il rumore del missile in picchiata, che potrebbe cadere ovunque e renderti un bersaglio.
Ci hanno insegnato che allenare il proprio corpo a sfidare la gravità è una sorta di messa alla prova che fa bene non solamente al fisico, ma soprattutto alla mente.
Ci hanno spiegato che il razzismo non ha senso di esistere, che quando c’è una cerimonia importante un terzo della ricchezza va condivisa con chi è meno fortunato, che quando cadono le bombe ci si raduna tutti nella casa di chi in quel momento si trova nel luogo più sicuro.

L’hanno fatto con semplicità, comunicando a volte con le parole, ma più spesso con i gesti. Tanti piccoli dettagli che normalmente ci sfuggono nella frenesia della vita all’occidentale sono emersi stando a contatto con i giovani gazawi: si condivide tutto con i propri pari, in primis i pensieri e le emozioni, perché solo in questo modo ci si tutela dalle infinite trappole.

E ci hanno anche messi di fronte al fatto che tante azioni che per noi sono la normalità, ci rendono solamente più individualisti, come ad esempio l’insensatezza di scrivere il proprio nome sul bicchiere di plastica, tanto si prende sempre quello che sta più in alto nella pila.

Sta tutto negli occhi di quei ragazzi all’inizio della giornata.
È vero, alla fine del pomeriggio sarebbero tornati alla vita reale, fatta di violenze e povertà, ma l’avrebbero fatto con una coscienza nuova.
Per questo, con il supporto del rapper Ayman, della CB Crew, del writer Yazid, del PCRF e di altri artisti locali, vogliamo che le attività continuino per i prossimi mesi.

Siamo andati via con la speranza di aver lasciato il segno, coscienti che un progetto così complesso richiederà un lavoro a lungo termine, per questo avremo bisogno del vostro supporto.

Perché Gaza è Viva, è arrabbiata, è felice. E noi saremo di nuovo lì l’anno prossimo, con la speranza che quella vita, quella rabbia, quella felicità possa essere domata a suon di rap, dai movimenti veloci della breakdance e che possa essere espressa in tutti i muri di Gaza sotto forma di graffiti.

La nascita.

La nascita.

L’Hip Hop ci ha salvato la vita e stiamo facendo di tutto per ricambiare, nonostante saremo sempre troppo piccoli rispetto ai muri che gli uomini innalzano.
Con la nostra carovana abbiamo provato a scrivere una parte di un racconto inedito. Tutto si costruisce una pietra alla volta, un po’ come le case a Gaza dopo i bombardamenti. 
L’Hip Hop ha delle potenzialità enormi, ed in un contesto come Gaza può gettare un seme che sia il principio di una grande speranza.
L’11 agosto 2019 abbiamo staccato i nostri piedi dal suolo di Gaza e il pensiero è andato subito all’11 agosto 1973, quando tra altre macerie, quelle del Bronx, l’Hip Hop si faceva strada tra chi creava dal nulla un’alternativa di vita.


Il contatto fisico violento divenne battle di breakdance, I muri ed i treni della città divennero superfici tele per imprimere a chiare letter il messaggio di rivalsa che voleva a tutti i costi urlare “Ci siamo anche noi. Non siamo numeri”
In strada nascevano i block-party, che radunavano persone in cerca di vibrazioni positive e cerimonie a suon di musica in vinile, con intrattenitori che concentravano e ammaliavano le prime masse affascinate da questo nuovo e magnifico spettacolo: gli Mc’s. Lì, proprio dove il terreno sembrava essere arido e dove nessuno avrebbe mai scommesso. Oro nella polvere. 
Immediato è il parallelismo con Gaza, dove segregazione, povertà e disoccupazione sono all’ordine del giorno. 
L’allora neonato Hip Hop intanto è cresciuto in questi 46 anni, diventando un linguaggio che ha permeato e contaminato le culture di tutto il mondo. Abbiamo lasciato la nostra tag a Gaza e ci auguriamo che possa far fiorire un fiore di speranza tra i giovani che continuano a gridare “Ci siamo anche noi. Non siamo numeri”!
Giovani di Gaza, voi siete il futuro e ci auguriamo che da oggi possiate impugnare un microfono, una bomboletta o fare un passo di breakdance per affermare che ci siete.

Grazie Palestina! A presto, Insha’Allah!

#Gazaisalive #Hiphopsenzafrontiere

Non è ancora finita

Non è ancora finita

Stasera sarebbe l’ultima sera della carovana a Gaza. Ma #gazaisalive non finisce qui!

In questi giorni abbiamo seminato per i prossimi mesi affinché il progetto possa continuare con gli artisti locali che hanno collaborato con noi.

Prima di andare via il nostro Davide “Smake” ha ultimato, con l’aiuto del calligrafo gazawo #Yazid, il murales alla sede della CB Crew.

Sarah invece ha avuto la possibilità di vivere l’esperienza di uno studio di registrazione a Gaza City seguita da Oyoshe e dal rapper palestinese #Ayman.

La nostra non voleva essere un’esperienza “mordi e fuggi” ma volevamo dare continuità al progetto anche dopo la nostra partenza: da domani gli psicologi, i musicisti, i ballerini e i writer continueranno il lavoro che abbiamo iniziato per almeno 3 mesi.

Speriamo di poterli supportare più a lungo grazie al vostro aiuto.

“Yalla”, andiamo, dicono i Palestinesi! Le attività della prima carovana Gaza is Alive finiscono qui ma il progetto continuerà.

A supporto dei Camps Breakerz

A supporto dei Camps Breakerz

Con la fine dei workshop pensavate che ci saremmo fermati?

Oggi siamo nella sede dei nostri amici Camps Breakerz, il luogo in cui è nata la prima esperienza di break dance in tutta la Palestina!

Siamo nel campo profughi di Nuseirat, un luogo difficile in cui un gruppo di ragazzi nel 2004 ha fondato una palestra e ha cominciato a diffondere la breakdance.

Per immaginare le difficoltà che devono affrontare vi diciamo solamente che qui la corrente elettrica arriva nelle case poche ore al giorno. La CB crew, pur di ballare, si è dovuta attrezzare con batterie e inverter.

Lo stile della crew è assolutamente unico al mondo, riuscendo a unire la tradizione araba all’Hip Hop.

Davide “SMAKE” e Yazid stanno realizzando un nuovo graffito nella palestra in cui i Camps Breakerz si allenano, un omaggio al loro coraggio e alla loro determinazione.

Un altro modo per dire Gaza is Alive

#gazaisalive #hiphopsenzafrontiere

La canzone di Sarah / Hayaa

La canzone di Sarah / Hayaa

Negli scorsi giorni vi abbiamo parlato di Sarah, una sedicenne che vive nel campo profughi di Nuseirat.

(https://www.facebook.com/…/a.2292188413520…/485749369032362/)

Sarah non aveva mai cantato al microfono, avrebbe potuto essere timida, eppure si è subito lanciata in questa nuova avventura: registrare la sua prima canzone rap.

Questo è il risultato!

Noi siamo fieri di averla supportata e domani si esibirà durante lo show finale dei workshop.

Condividete per sostenere Sarah!

#gazaisalive #hiphopsenzafrontiere